lunedì 5 settembre 2011

La fine della "felicità"





Dal corriere del veneto.




EDITORIALE

La fine della «felicità»


Tre manovre economiche in sei settimane, mentre le Borse bruciano senza pietà ricchezze e speranze. Risultato: tante incertezze ed una sola, spiacevole certezza, quella di sentirci più poveri. Anche se è ormai da tre anni che tante famiglie hanno iniziato a tirare la cinghia spesso rompendo il salvadanaio dei risparmi. Nel 2010, calcola l’Istat, la spesa media mensile delle famiglie venete è stata di 2876 euro; l’anno prima fu di 2857 euro. Quindi in un anno l’incremento è di circa lo 0,7 per cento, che però deve fare i conti con il serpente dell’inflazione - la tassa che non si vede - che è stata dell’ 1,5 per cento. Per i consumi insomma calma piatta, piattissima, una calma che tanto terrorizzava i naviganti sui velieri di un tempo e che oggi inquieta i commercianti, le imprese, gli economisti. Ed i consumatori, ovviamente. Poco consola sapere che Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto sono le regioni più ben messe quanto a consumi per cui, ad esempio, tra Veneto e Sicilia c’è una differenza di ben 1200 euro di spesa media mensile per famiglia, una cifra che suona beffarda nel centocinquantesimo dell’Unità (?) del Paese. Ma poco consola soprattutto perché i consumi nel 2008, l’anno in cui deflagrò la crisi, erano pari a 2975 euro al mese: ciò significa che in soli due anni le famiglie in Veneto hanno mediamente ridotto le spese di un centinaio di euro al mese.
Una sobrietà certamente non desiderata né gradita anche perché fa a pugni con quelle aspettative crescenti che tutti nutriamo nella nostra psicologia quasi come un diritto nei confronti del sistema capitalistico, pensando che domani andrà meglio di oggi e dopodomani ancor meglio. E gli acquisti e lo shopping sono notoriamente un segno ed una promessa che ci conferma nel senso di appartenenza al «sistema», ai suoi valori ed alle sue regole. Quarant’anni fa il filosofo francese Baudrillard scriveva «La società dei consumi» in cui non solo etichettava così le nostre società occidentali - centrate sul consumo, che ormai cominciava ad investire ogni spazio della vita psichica e materiale - ma dove sosteneva che dietro l’abbondanza dei beni si creavano nuove e generose mitologie chiamate progresso, tecnologia, sviluppo. Ma oggi, quando la contrazione dei consumi sembra tradire la promessa di felicità, quando le mitologie della modernità succitate entrano in affanno, chi garantirà la nostra soddisfazione e la nostra lealtà al «sistema»? E siamo ancora, allora, una «società dei consumi» o cos’altro? Nella migliore delle ipotesi quest’anno il Pil dovrebbe sfiorare un misero uno per cento e nonostante il buon andamento delle esportazioni (vendiamo all’estero quella «Dolce Vita», come Confindustria chiama il Made in Italy, che qui abbiamo perso di vista), gli occupati in Veneto sono nel primo trimestre settemila di meno rispetto all’analogo periodo del 2010. Ma soprattutto i tempi austeri che si aprono mettono in seria discussione la nostra fede nella religione dei consumi che ci aveva gioiosamente accompagnato fin qui.

Vittorio Filippi
30 agosto 2011

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