lunedì 28 febbraio 2011

Unità d'Italia /2


Sabato mattina il nostro eroico consigliere, Fabrizio Bedin, ha protocollato questa meravigliosa proposta che vi invito a leggere.
Il tutto è nato per la maggior parte da nostri pensieri, ma alcuni spunti sono dovuti a persone esterne al gruppo, che ringraziamo, sperando di vedere realizzato quanto si chiede.


Egregio Sig. Sindaco,

Con la presente, come gentilmente da lei richiestoci, vogliamo porre alla sua attenzione un paio di proposte del nostro Gruppo consigliare riguardanti le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, che hanno lo scopo di integrare la precedente interrogazione.

Si tratta di una ricorrenza assai importante per tutta la cittadinanza, che mette in evidenza il lungo percorso unitario del nostro Paese, iniziato nei primi anni dell’Ottocento e culminato, dopo tre Guerre d’Indipendenza, con la proclamazione dello Stato unitario il 17 marzo 1861. Attraverso diverse fasi storiche caratterizzate anche da due conflitti mondiali (e da una sanguinosissima guerra civile), la nostra Italia ha saputo trovare progressivamente la propria strada verso la libertà, la democrazia e lo sviluppo economico. Oggi viviamo in un paese moderno, nel quale ciascuno può avere la possibilità di esprimere le proprie idee e le proprie opinioni, nel rispetto delle regole della convivenza civile e della legalità. Un paese aperto anche sulla mondialità, capace di accogliere e di integrare persone e culture assai diverse tra loro, senza per questo rinnegare le proprie tradizioni e la propria storia.

L’anniversario dell’unificazione, quindi, si inserisce in questo quadro generale, che peraltro rischia progressivamente di deteriorarsi sotto i colpi della crisi economica e delle delegittimazione delle istituzioni cui stiamo assistendo in questi ultimi anni.
Ecco allora la grande opportunità offerta dai 150 anni dell’Unità d’Italia: rinsaldare un sentimento di appartenenza un po’ offuscato, rendere più profondi e vitali i vincoli storico-geografici che legano i diversi ambiti territoriali della nostra penisola e che ne fanno (ancora) uno dei luoghi più belli e importanti del pianeta.

In quest’ottica anche la nostra piccola realtà locale può fare molto per tutti, e sottolineiamo tutti, i cittadini di Brendola.
Il nostro gruppo consigliare propone di individuare, all’interno delle feste popolari di ciascuna frazione (Brendola/S. Michele, Brendola/Madonna dei Prati, Vò di Brendola e San Vito), soltanto per il corrente anno, alcuni momenti particolari dedicati ad alcuni “luoghi della memoria” presenti nel territorio comunale durante i quali, ricordando gli avvenimenti storici che portarono alla costruzione di quel sito, venga commemorata anche la memoria collettiva della nostra unità nazionale.
In pratica, una serie di rievocazioni particolari, distribuite su tutto l’arco dell’anno, capaci di rinsaldare i vincoli unitari presenti nella coscienza di ciascun cittadino brendolano.
I “luoghi della memoria” e i relativi periodi delle commemorazioni ai quali avremmo pensato sono, in ordine cronologico:

-    Il monumento al Corpo degli Alpini, in prossimità della Chiesa parrocchiale, Sagra di San Vito (Giugno)
-    Il monumento all’Arma dei Carabinieri in Piazza del Mercato, Sagra di Madonna dei Prati, con relativa sistemazione (Luglio)
-    Il monumento ai Martiri della Libertà, posto in prossimità dell’abitato di Vò lungo la Strada delle Asse, Sagra dell’Assunta (Agosto)
-    Il monumento presso S. Valentino, Sagra di San Michele (Settembre)

Per rendere più significative le quattro commemorazioni chiediamo che i vari siti vengano decorosamente riordinati attraverso semplici lavori di pulizia ed (eventuali) piccole manutenzioni; inoltre, per dare loro maggiore visibilità, chiediamo che vengano segnalati attraverso l’apposizione di quattro pennoni dotati di bandiera tricolore (verde bianco rosso), da lasciare sui siti una volta trascorso il corrente anno.

Di seguito riportiamo altre due proposte: uno striscione con i tre colori della bandiera italiana all’ingresso di Brendola con scritto "anche Brendola festeggia l'unità d'Italia" oppure una serata per raccontare il percorso storico italiano dalle comuni radici culturali fino ai giorni nostri. Quest’ultima proposta potrebbe essere concretizzata in una serata evento da tenersi nel momento in cui si ritroverà il giusto decoro al monumento al Carabiniere sito nella piazza centrale del nostro paese.


Certi di una positiva risposta in tal senso, salutiamo cordialmente.

Unità d'Italia /1


Ecco alcune osservazioni in merito alla tanto discussa Unità.

Le osservazioni sono tutte condivisibili: la faccenda è maledettamente complessa non fosse altro per il fatto che la nostra unificazione avvenne almeno 4 secoli in ritardo rispetto a quella degli altri stati occidentali europei (inghilterra, francia e spagna, germania esclusa), che ebbero così tutto il tempo per elaborare realmente una forte coscienza nazionale, cosa che qui da noi non c'è ancora, e che permise loro di accumulare un vantaggio culturale (e di conseguenza politico, economico ed identitario, che ancora, ahime, vantano su noi italiani)

L'interrogazione in c.c. da parte del nostro gruppo consigliare serviva appunto a sottolineare la necessità di riflettere, far prendere coscienza, per quanto il contesto socio-culturale lo possa permettere naturalmente, del senso del nostro stare insieme come nazione. Di tutto questo all'Amministrazione attuale importa molto poco, soprattutto nella sua componente leghista. Essa punta soltanto ad instupidire la gente con slogan di nessun contenuto storico e sociologico, fatti solo di demagogia e parole al vento, con l'unico scopo di perpetuare il malcontento e un endemico sentimento di lontananza dalla cosa pubblica e dal senso di appartenenza davvero unitario, che non sia quello del proprio campanile o addirittura dela propria contrada. Quando parla uno vestito di verde, mi vergogno di essere nato a nord del sud.

In effetti, oltre alle singole riflessioni messe giù da Michele, ne sottolineerei almeno due-tre ulteriori:

1) la criminalità organizzata, in quanto organizzata, è davvero una conseguenza su scala allargata dell'unificazione, ma le sue origini sono certamente ascrivibili ad un periodo molto precedente l'unificazione nazionale avvenuta nell'Ottocento. Esse infatti affondano le loro radici nel ritardo socio-politico-economico imposto dal baronaggio spagnolo già all'inizio dell'età moderna (XV sec.) e perpetuatosi poi nei secoli successivi. Si trattò di un sistema perverso di clientelismo in ambito politico, di scarsa innovazione e spirito d'intrapresa in ambito economico (con il corollario di investimenti praticamente nulli anche nel settore economico allora più diffuso, l'agricoltura con il perpetuarsi di vincoli e rapporti feudali di vera e propria servitù personale fino a tutto il XX secolo), e conseguentemente la mancata nascita di una classe sociale , la borghesia, capace davvero di imporre un'inversione di tendenza. Il sud rimase un enclave, separata da se stessa e dal resto del mondo. Insomma la questione meridionale esiste da almeno 6 secoli senza che nessuno l'abbia veramente voluta affrontare, non per incapacità o mancanza di buone idee, ma semplicemente perché lo status quo ha fatto comodo a molti.

2) Anche sull'emigrazione vorrei dire due parole: è vero che dopo l'unificazione si assistette a un vero e proprio boom di emigranti, ma è altrettanto vero che fino agli anni 70-80 dell'800 la popolazione italiana non era affatto cresciuta con lo stesso ritmo che ebbe dai primi decenni post-unitari: quindi più nati, più bocche da sfamare, più emigranti. La gente partì principalmente perché il nostro paese non seppe creare affatto quelle opportunità lavorative necessarie a collocare la manodopera in sovrappiù. Il nostro paese rimase essenzialmente un paese agricolo fino al secondo dopoguerra, quando peraltro soltanto alcune aree del paese intrapresero veramente la via all'industrializzazione (il nordest e le regioni dell’Italia centrale, dopo quelle del triangolo industriale tra '800 e '900, il sud al solito rimase al palo, in balia di se stesso e delle sue contraddizioni). Negli anni post-unitari mentre i principali paesi europei e nordamericani ponevano le basi per una seconda e più profonda progressione economica, noi restammo al palo.

3) In sintesi, che cosa ci manca? Probabilmente ci manca ciò da cui discende tutto il resto: ci manca la coscienza di ciò che siamo (eccolo il senso dell'interrogazione) e soprattutto ci è mancata e ci manca ancora una classe dirigente davvero capace di pensare e di pensarsi come nazione che affronta le sfide che l'esserci in quanto popolo e nazione richiede. Essere ed esserci nei confronti di se stessi e del resto del mondo. Al momento dell'unificazione questa classe dirigente non c'era? C'era eccome, ma secondo molti, sia nella sua componente settentrionale sia in quella meridionale, si occupò troppo di raggiungere l'unità politica e troppo poco di mettere in cantiere una seria politica di unificazione sociale, economica e identitaria.

Michele Massignani

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Dato che si parla di Unità d'Italia, vorrei dire qualcosina, cantando fuori  dal coro.

Trovo stucchevole l'intera storia delle celebrazioni. Mi piacerebbe che si cominciasse a parlare dell'Unità d'Italia dicendo le cose con maggiore aderenza ai fatti storici. Mi permetto appena qualche cenno ora; rimando chi voglia approfondire al testo

ANGELA PELLICCIARI, L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata, Piemme Edizioni

o il testo di Ettore Beggiato, che spiega come andarono le cose a casa nostra
"La Grande Truffa"  (Editoria Universitaria Venezia),

oppure al tanto materiale reperibile in Internet (da prendere con le pinze, ma utile) sul tema delle balle galattiche che ci sono state raccontate sul Risorgimento.

Sull'Unità d'Italia trovo deprimente che si stia ancora a rincorrere le scemenze incredibili che ci hanno propinato alle elementari. Mille eroici volontari, la maggior parte dei quali non aveva mai visto uno schioppo in vita sua, si imbarcano su due vapori, e conquistano in breve tempo lo Stato all'epoca più ricco, nonché più avanzato militarmente e industrialmente della penisola; dopo di che, ne fanno grazioso dono ai sabaudi. Fatta l'Italia, evviva!

Alcuni piccoli dettagli "dimenticati" (tra i moltissimi):

- lo stato piemontese era sull'orlo del fallimento; appena possibile depredò le casse dei granducato di Toscana, del Regno delle Due Sicilie, nonché di staterelli vari; i quali, guarda caso, erano tutti in attivo.

- i plebisciti ebbero esiti talmente totalitari, che manco nelle repubbliche africane; solo in Corea del Nord e posti simili si trovano oggi percentuali del genere. Niente brogli, ovvio...

- dopo l'unità ci fu una guerra civile, detta brigantaggio, che per quanto ne so è costata come minimo un milione di uccisi, in realtà forse anche tre (stime raccolte da uno storico meridionale, un topo di biblioteca con cui chiacchierai anni fa). Guerra civile eliminata da qualunque libro di testo.
Se anche le cifre fossero più basse, si trattò comunque di una strage enorme.

- lo sbarco dei Mille fu assistito da cannoniere inglesi; la Gran Bretagna infatti ebbe un ruolo decisivo in tutta la faccenda, ovviamente eliminato anch'esso dai libri di storia. Per capire chi e perché fece l'unità del paese, molto più istruttivo sarebbe fare una ricognizione sui poteri massonici e bancari europei dell'800 (che sono poi gli stessi di oggi: ma la sinistra italiana è parte in causa, a parte Vendola e pochi altri romantici; ergo... silenzio anche da PD e affini. Date un'occhiata alla storia personale dei vari Prodi, D'Alema, Fassino, Bersani, ecc. Su Fassino posso narrare, non qui però, un succoso episodio personale).

- l'unità portò alla miseria tutte le regioni, Veneto in primis; la stessa famiglia mia, che era possidente di molte terre, si trovò ben presto alla povertà.

- tempo qualche anno, la miseria fu tale che almeno 23 milioni di italiani scapparono, nel giro di un secolo, all'estero; come mai prima quasi nessuno emigrava?

- con l'unità partirono alcuni grandi processi storici, da cui hanno salda origine molti mali attuali. Si pensi alle criminalità organizzate, che  ebbero buon gioco a introdursi nei poteri finanziari del paese attraverso le isitituzioni bancarie unificate (si veda la faccenda dello scandalo del Banco di Roma: oggi la crisi è mossa da meccanismi molto simili, tipo stampa di carta straccia, ché tali sono Euro e Dollaro, emessi da istituti interamente privati, e cresta sulle commissioni di signoraggio).

Potrei continuare per chissà quanto.
Mi auguro che queste poche righe bastino a scatenare la curiosità per approfondire l'argomento, con sguardo finalmente privo della banale e avvilente retorica che vuole l'Italia Unita un qualcosa per forza buono e giusto. La realtà, come sempre, è ben più articolata di come la scrivono sui sussidiari di scuola i vincitori di turno.

Michele Storti

venerdì 4 febbraio 2011

Vizi padani


Un bellissimo articolo a firma di Sergio Rizzo sul Corriere del 20.01.2011.


I vizi romani dei padani
Il Veneto e la Lega anti-Italia
Strano leghista, Flavio Tosi. Tifa per la nazionale italiana anziché per quella padana. Si augura che la Ferrari vinca il prossimo campionato di Formula uno invece di chiedere le dimissioni di Montezemolo, come ha fatto Roberto Calderoli dopo che Fernando Alonso aveva perso il titolo all’ultimo Gran premio. Non bastasse il sindaco di Verona, dice pure che l’inno di Mameli «è una cosa seria». E lo fa confessando di nutrire «un forte senso di identità nazionale », per giunta dopo aver invitato nella sua città il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per i festeggiamenti dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Gesto che equivale a una bestemmia in chiesa, per i duri e puri del Carroccio come il segretario veneto Gian Paolo Gobbo. Che subito lo hanno bollato come una specie di traditore della causa leghista, quasi fosse stato sedotto da quella Roma ladrona e scialacquona che ingrassa alle spalle del Nord produttivo e sgobbone.
Sappiamo bene come dietro questa apparente disputa sul valore dell’unità nazionale ci sia in ballo una partita politica interna al Carroccio: il timone della segreteria nazionale della Liga Veneta-Lega Nord. Proprio come accade ogni partito, dove gli scontri ideologici fanno spesso da schermo a banali questioni di potere. Perché potrà non piacere, ma la Lega è un partito come tutti gli altri. È la formazione politica più vecchia fra tutte quelle presenti nel parlamento italiano, dove nel corso degli anni ha avuto modo di assimilare in pieno i comportamenti tanto vituperati in auge fin dalla cosiddetta Prima repubblica. Se possibile, in qualche caso peggiorandoli. Coloro che dalla Padania inveiscono contro Roma ladrona, sbandierando una presunta diversità rispetto alla politica politicante, hanno finito per comportarsi come gli altri politici politicanti. Potete trovare i big leghisti a tavola nei costosi ristoranti della Capitale, scorgerli comodamente alloggiati nelle lussuose berline con i vetri oscurati che sgommano arroganti per le vie del centro, votare compatti contro i tagli ai privilegi di lor signori: com’è accaduto quando hanno affossato la proposta di allineare le pensioni dei parlamentari a quelle dei comuni mortali, seppellita da 498 voti contrari su 525.
I loro rampolli pluribocciati alla maturità occupano confortevoli seggi nei consigli regionali, con retribuzioni pari a quelle di 15 giovani precari senza santi in paradiso. E per i fedelissimi non manca una poltrona in un’azienda pubblica. Selezionata con un’accuratezza degna del manuale Cencelli. Naturalmente parliamo delle (poche) camicie verdi rimaste senza il doppio o triplo incarico istituzionale al Comune, alla Provincia e contemporaneamente in Parlamento. Come fra gli altri ha l’onorevole bergamasco doc Pierguido Vanalli, sindaco di Pontida, città simbolo della Lega: il caso, soltanto il caso, ha voluto che non sia un tifoso sfegatato dell’Atalanta, come logica imporrebbe, ma della Roma. E ne vada orgoglioso. Evviva la sincerità.