mercoledì 12 ottobre 2011

Decenza


Da qui.

Il limite della decenza

Oramai un rancore sordo e inestinguibile sta rendendo impossibile la convivenza di Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti in uno stesso governo. Mentre le agenzie di rating declassano l'Italia, il ministro dell'Economia rilascia dichiarazioni in cui, neanche tanto velatamente e malgrado tardive e poco persuasive smentite, si indica come esempio virtuoso la scelta di Zapatero in Spagna di farsi da parte e di anticipare le elezioni. Altri ministri rispondono con invettive e addirittura, come Giancarlo Galan, oltrepassando la soglia dell'insulto. Non sono più i colpi e le tensioni che oramai da mesi intossicano il rapporto tra Berlusconi e Tremonti: siamo alla guerra totale. Ma un Paese in cui il governo è così spaccato appare un Paese senza timone. Allo sbando. Non ce lo possiamo permettere.
Il gorgo rissoso in cui sta sprofondando la lite tra il premier e il suo ministro non è solo un'offesa allo stile o una macchia che mina la credibilità dell'Italia. È il simbolo di una paralisi: la stessa che sta impedendo, nello smarrimento di quel minimo di senso delle istituzioni che un governo ha il dovere di onorare, la nomina del nuovo Governatore della Banca d'Italia.
Un governo che si comporta in questo modo autolesionistico scatena inevitabilmente la guerra di tutti contro tutti. Dove ciascuno gioca per sé, scambiando il proprio «particolare» per l'interesse generale che dovrebbe invece essere promosso e custodito da un governo democraticamente eletto. Ma un governo così lacerato appare sempre meno in grado di trasmettere agli italiani il senso di una riscossa e di un soprassalto di orgoglio. E quando la politica appare vuota e impotente, troppe corporazioni si affollano vocianti per rubarle il mestiere. Con il rischio che poi non sappiano più fare nemmeno il loro.

Senza una guida politica, oggi le «parti» aspirano abusivamente all'«intero»: non più parti sociali, ma surrogati di partiti politici. Con la pretesa di sostituirsi ai governi. E con il rischio che le singole parti sconfinino in un terreno in cui gli interessi particolari, frammentati e parcellizzati, siano scambiati per l'interesse generale. Una pretesa sbagliata. Una scena in cui tutti i ruoli si confondono. La Confindustria gioca la carta del protagonismo politico. Gli ordini professionali contrari alle liberalizzazioni si organizzano come lobby in Parlamento. La Confcommercio denuncia come leso «interesse generale» l'aumento dell'Iva. La Cgil sublima come «diritti fondamentali» gli interessi della sua base di pensionati e la Cisl quelli dei «suoi» statali. E così via. Tutti con la segreta speranza di accumulare visibilità e forza nell'attesa che il ciclo berlusconiano si esaurisca.
La lite tra il premier e il suo ministro dell'Economia non può perciò non avere una fine, e in tempi brevissimi. Se il ministro ritiene giusta la scelta di Zapatero, per il bene della Spagna, di togliersi dalla scena, tragga lui le conclusioni sull'eventualità che l'esempio spagnolo sia emulato dal governo italiano, o almeno dal suo ministro dell'Economia. E se il premier ritiene davvero, come sostengono i suoi pasdaran, che addirittura Tremonti abbia tramato con le agenzie di rating per infliggere un colpo durissimo al governo di cui pure è magna pars , non può pretendere che questo sospetto infamante, se confermato, possa restare senza conseguenze. In un Paese serio, non nel teatrino tragico che lo sta rappresentando.

06 ottobre 2011 07:56

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