Uno straniero ogni dieci veneti. Pudicamente, la chiamiamo «integrazione » ma è l’inizio di un’altra storia, di una strada senza ritorno verso il Veneto multietnico, multiculturale, plurilingue che potremmo definire (se non avesse un significato insultante) «contaminato». L’aspetto più paradossale di questa rivoluzione silenziosa è che invece di decidere tra i due soli comportamenti possibili, rassegnazione o ribellione con ogni mezzo, stiamo ancora remando nell’utopia, un vecchio gioco di società espulso persino dalle case di riposo. Gli ultimi difensori dell’identità regionale, asserragliati nei loro fortini cerebrali, credono ancora, o fingono di credere, che la scelta sia un affare di famiglia. Invece di constatare che siamo soltanto la tessera di un immenso puzzle planetario, si rifugiano nel mito, nell’isola che non c’è, nella resistenza mentale, nel «Veneto ai veneti»: nella Padania. Il leghismo, degenerazione senile del capitalismo, si auto-legittima fornendosi di una madre leggendaria agli albori del terzo millennio.Mentre una feroce crisi economica dovrebbe riportare al buon senso anche i sognatori di mestiere, qualcuno si ritrae spaventato dalla vita di ogni giorno e si fabbrica i propri avi. Mi scuso per la franchezza: stiamo dando i numeri? Osservando Umberto Bossi e il suo erede Trota in televisione circondati dal loro «popolo », si può credere davvero che quella fosse la festa degli italiani? Che, sia pure in un frangente drammatico come l’attuale, una delle potenze economiche dell’Occidente sembri la parodia di una gita aziendale con i dipendenti che alzano il gomito e si scambiano lazzi e frizzi? Mio Dio, con millenni di storia sulle spalle giriamo in maglietta verde e farnetichiamo di piantare in asso la patria. Duole dirlo, ma visti da qui persino Silvio Berlusconi e il suo harem paiono squarci di realismo in un incubo notturno. Non esiste nessun Veneto dei veneti perché non si può fermare la storia e la storia ci porterà quello che le pare. Tenteremo soltanto di essere, da soli o in compagnia, persone passabilmente civili come lo siamo state finora. Il resto, come diceva Maurizio Costanzo, è vita. Stranieri che tirano la vita con i denti, che giocano l’ultima possibilità scappando dalla terra natia dove non hanno un domani e non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena, figuriamoci se hanno anche altre bocche da sfamare. Non siamo noi la causa della loro miseria, come non lo era l’America quando i bastimenti portavano nel Nuovo Mondo la miseria italica, i nostri morti di fame. Non sarà certamente il nostro passato a renderci più lieve il carico che ora tocca a noi sopportare perché, come sa chi vuole saperlo, dalla storia mai nulla si impara oltre alla perseveranza nel commettere sempre gli stessi errori. Però, in fin dei conti, fare appello alla ragione e alla saggezza serve tutt’al più a fabbricare qualche altra illusione per tirare avanti come abbiamo sempre fatto in mancanza di alternative. Diventare ospitali obtorto collo, volenti o nolenti, non è consolante. Qualcuno ha un’altra soluzione che escluda ogni forma di violenza?Fausto Pezzato
lunedì 26 settembre 2011
Non si ferma la storia
Dal Corriere del Veneto, 22 settembre 2011
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