Federalismo all'Italiana
La virtù non è compresa nel prezzo. Anzi, come si diceva, «soldi e santità, metà della metà». Anche con il federalismo fiscale non c’è niente di scontato. Molti hanno voluto credere che semplicemente con l’approvazione della legge 5 maggio 2009, appunto sul federalismo fiscale, avremmo pagato tutti meno tasse, almeno noi veneti. Poi le cose sono andate diversamente, perché la pressione fiscale è aumentata e aumenterà grazie a questa nuova legge, per la quale si è adoperato il ministro Calderoli, già autore del famoso «porcellum» (legge elettorale). Ma questo si sapeva, perché lo scopo della ormai famosa legge era quello di rendere gli amministratori locali responsabili di fronte ai propri cittadini, mettendoci in condizione di giudicare se ci sia corrispondenza tra le imposte pagate e i servizi erogati. Non quello di farci pagare meno tasse. Per raggiungere questo obiettivo bisognava aggiungerci la virtù. Che evidentemente ha ancora da venire, se qualche soldino in più dovremo tirarlo fuori. Non molto a dire il vero, ma pur sempre qualcosa.
Cinque province del Veneto si apprestano ad aumentare del 30% la quota di pertinenza regionale nei premi RC auto. Poi c’è l’addizionale regionale Irpef, prima abolita, quindi rapidamente reintrodotta. Ai comuni mancano le entrate dell’Ici, così, di riffa o di raffa, dovranno aumentare o introdurre qualche imposta, più o meno esplicita. Perché il federalismo fiscale, che è stato approvato è solo una «favola», così l’ha definito un tipo tranquillo, oltre che uno studioso, quale è Piero Giarda. E questo non ce l’hanno forse spiegato per benino. La legge del 2009 infatti ha lasciato il vecchio sistema di finanza pubblica praticamente invariato. A questo si è sovrapposta come fa un vestito nuovo su un manichino, la sostanza è rimasta quella di prima. È difficile far funzionare un sistema fiscale decentrato in un quadro centralizzatissimo. Ci viene il dubbio che la riforma fosse una battaglia più nominale che sostanziale, ma si sa noi pensiamo male. In ogni caso non si spiega come, ad esempio, la quota di finanziamento autonomo degli enti decentrati sia ancora molto bassa, all’incirca il 49% della spesa totale. Che razza di autonomia è quella in cui raggiungere il pareggio dipende da «Roma ladrona»?
La riforma federalista poi si è fermata fuori dalla porta delle regioni a statuto speciale, che continuano a spendere e spandere, senza tener conto dell’andamento generale del resto del paese: basti pensare che la spesa procapite del personale delle amministrazioni regionali nel Veneto è pari a 31 euro contro i 2.162 della Valle d’Aosta o i 2.040 delle Provincia Autonoma di Bolzano (media nazionale 109 euro). Non è quindi questione di essere favorevoli o contrari al federalismo fiscale. Parliamo di questa legge che, ancorché di ispirazione leghista, sembra fatta, come si dice, «all’italiana»: una bell’etichetta, ma la sostanza è tutt’altra. In questo momento non ci volevano certo nuovi strumenti che aumentassero, direttamente o indirettamente, la pressione fiscale sui cittadini. Poi c’è il discorso della virtù: questo federalismo la dà per scontata, pensa dei nostri amministratori come persone naturalmente virtuose, che avrebbero saputo risparmiare e migliorare i servizi senza aumentare le spese. Invece la virtù non è una cosa facile e, soprattutto, non va proclamata, caso mai praticata.
Sergio Noto
29 giugno 2011